di Sergio Piergianni
La Generalitat de Catalunya, guidata da settembre 2015 da un governo apertamente indipendentista, ha organizzato un referendum per chiedere ai cittadini della regione, già largamente autonoma, se volessero rendersi indipendenti dalla Spagna. La consultazione però è stata fortemente osteggiata tanto dal Governo centrale di Madrid, quanto dall’amministrazione giudiziaria. Più sentenze di vari tribunali, per ultimo anche il Tribunale Costituzionale, hanno infatti ritenuto incostituzionale la legge catalana di indizione del referendum e di tutte le attività organizzative a esso legate.
1 ottobre 2017: il Governo nazionale cerca di imporre (anche con la forza) il rispetto della Costituzione in Catalogna, ma il Govern del Presidente catalano Carles Puidgemont prosegue caparbiamente nell’organizzazione della consultazione. Tra sconti per vie delle città e tante difficoltà riescono a recarsi alle urne e votare poco più di 3 milioni di catalani, pari al 57,52% degli aventi diritto. Il risultato non lascia interpretazioni: il 92% dei votanti si è espresso a favore dell’indipendenza.
3 ottobre 2017: in centinaia di migliaia scendono in piazza a Barcellona per protestare contro le violenze subite da parte della Guardia Civil nel giorno del referendum. Nella notte, il grande assente fino a quel momento, il re di Spagna Felipe, tiene un discorso in diretta nazionale accusando la Catalogna (e il suo Governo) di aver “violato le norme, mostrato una slealtà inaccettabile nei confronti dello Stato, spezzato i principi democratici e lo Stato di diritto e minato l’armonia nella società catalana”. La situazione si fa incandescente.
10 ottobre 2017: Puidgemont raggira il divieto del Tribunale Costituzionale di convocare il Parlamento catalano per dare seguito al risultato del referendum. In un discorso ben equilibrato tra la dichiarazione unilaterale d’indipendenza e una “semplice” presa d’atto dei risultati della consultazione referendaria, il Presidente catalano cerca di prendere tempo per evitare un inconcludente muro contro muro con il Governo di Madrid e la scontata attivazione dell’art. 155 della Costituzione spagnola perché, di fatto, questo destituirebbe le istituzioni regionali e metterebbe fine al sogno indipendentista.
21 ottobre 2017: dopo la vana ricerca di un dialogo tra le parti, il Governo del Premier Rajoy attiva per la prima volta nella storia post-franchista della Spagna il temuto articolo 155 della Costituzione. Il Govern catalano è di fatto destituito ed entro sei mesi la Generalitat andrà al voto per eleggere un nuovo parlamento e un nuovo governo. La replica di ministri, sindaci e varie personalità catalane non si fa attendere e tutti concordano con il Presidente Puidgemont: quello messo in atto è “il peggior attacco dai tempi del franchismo, un golpe”.
27 ottobre 2017: ormai è scontro aperto tra istituzioni e si naviga a vista. Il Parlamento catalano approva un risoluzione contenente la dichiarazione di indipendenza dalla Spagna e la nascita della Repubblica di Catalogna come Stato sovrano. Per le strade di Barcellona è festa, il momento tanto agognato è diventato realtà. La festa però dura poco e a distanza di breve tempo il Senato approva l’applicazione dell’art.155 affidando a Rajoy il governo ad interim della Generalitat. Il Premier destituisce il governo regionale e convoca nuove elezioni per il 21 dicembre. Come se non bastasse, la magistratura è sempre più intenzionata ad accusare le istituzioni catalogne di sedizione e ribellione, accuse che se accertate porterebbero alla reclusione per un massimo di 30 anni.
30 ottobre 2017: di fronte al possibile arresto, la fuga poteva essere la soluzione più facile per arginare il disastro. Questo è di certo il pensiero fatto dal Presidente Puidgemont e alcuni membri del suo governo nel momento in cui si è imbarcato su un volo diretto a Bruxelles, in Belgio. Di lì a poco i restanti membri del governo regionale, ancora in Spagna, sarebbero stati tratti in arresto con l’accusa di sedizione e ribellione e per il Presidente in esilio la magistratura spagnola avrebbe spiccato un mandato d’arresto internazionale.
A oggi, quindi, ciò che resta di un turbolento ottobre è il sogno infranto d’indipendenza del popolo catalano, un Presidente che prima accende la miccia della bomba per poi fuggire via dopo lo scoppio, e un futuro che dire sia incerto è un eufemismo.